Testimonianze: Uomo del confronto - Don Acciai - un prete, una comunità, un quartiere

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Don A. Acciai - un prete, una comunità, un quartiere
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Testimonianze: Uomo del confronto

Testimoni
UOMO DEL CONFRONTO
Leggeva molto Don Acciai. La sua casa, sempre piena di libri, serviva da bibliote­ca ambulante per tutti coloro che avessero voglia di rendere più efficace la propria preparazione di credenti. E questo credo sia stato un merito importante di Don Ac­ciai: non credere che nel campo della religiosità ci fosse qualcosa che pigramente do­vesse essere accettato in modo generico e scontato. Al contrario tutto doveva essere verificato, alimentato, irrobustito nel confronto, nel dubbio, nella ricerca quasi con il sentimento indiscreto di non recare oltraggi all'umanità.
Una volta ci fu nella sacrestia una brutta scena del parroco Marsano che aggredì
violentemente Don Acciai appena rientrato dall'altare perché disobbidendo alla nor­mativa aveva osato predicare nel corso di una messa cantata. Inutili i tentativi di dare spiegazioni.
Il parroco urlava la sua posizione formale e Don Acciai mentre piegava i parame­tri, il viso rosso, le grandi mani lentiginose a cercare le pieghe giuste della cotta con un filo di voce, ma fermo replicò: "La gente viene a messa solo alla domenica. Sono tanti quelli che avvertono il bisogno di sentire un commento alla lettura del Vange­lo". Poi infilata la porta della chiesa corse giù in mezzo alla gente fino sul sagrato per continuare un discorso che voleva non interrompersi mai.
Non era un grande oratore, usava le parole con faticosa cautela, leggermente ap­poggiato all'altare quasi a trovare sostegno e forza alle parole di cui conosceva peri­colosità e vanità.
Era infatti più a suo agio durante la messa delle undici quando poteva dirigere le preghiere ed i canti dei bambini. Aveva maggiore capacità di incontro, la sua aria bonaria era accattivante, diciamo che dati i tempi credeva nella "pedagogia permis­siva" mentre intorno aleggiavano ancora teorizzazioni di "scapaccioni" utili e ne­cessari. Non era ben visto dall'autorità ecclesiastica. Una volta nella piazzetta della chiesa mentre aspettava l'arrivo del cardinale Siri in visita pastorale, ad una donnet­ta che gli chiedeva se era contento di quella visita, Don Acciai sorridendo e levando lo sguardo al cielo replicò "Speriamo che finisca presto, di solito sono sempre delle lavate di testa". Non sono in grado di documentare il perché di queste romanzine, forse i contrasti con il parroco, dovuti a linee ecumeniche diverse, finivano per di­ventare argomento di lamentazioni disciplinari del suo diretto superiore. Comunque Don Acciai stava, nonostante la sua forte personalità, ben schierato con quelle che erano le esigenze sociali della chiesa.
Anche Don Acciai prestava la sua opera negli anni cinquanta ai Comitati Civici che nel periodo elettorale tanta influenza avevano nel condizionare chi si accingeva al voto. Ha sempre rispettato la chiesa e le sue gerarchie, ma con una capacità critica notevole e in anticipo sui tempi.
Credo non contestasse il ruolo egemone che la Democrazia Cristiana aveva nella vita politica del paese, soprattutto in quegli anni. Quello che non accettava era l'in­giustizia sociale e l'essere fratelli "in orazione e non a colazione".
Don Acciai era abbonato — credo di nascosto — anche ad "Adesso" la rivista di don Primo Mazzolari contro il quale proprio da Genova era partita una campa­gna calunniosa, documentata nel libro di Aldo Bergamaschi, Mazzolari è lo scanda­lo di "Adesso", edizioni Gribaudi Torino.
Credo che l'esperienza di Mazzolari e il fascino che derivava dai Piccoli fratelli di Gesù di Padre Foucault attirasse molto l'intelligenza di Don Acciai che nella sua disordinata scrivania piena di carte teneva sempre il libretto di don Mazzolari nel quale si diceva "Parlare in nome dei poveri è un discorso utile per alcuni, ambito per molti. Dare la parola ai poveri è un'altra cosa".
Don Acciai non era uomo di concessioni sentimentali, non improvvisava, aveva la capacità di credere ostinatamente nelle cose che doveva e voleva fare, ma da uomo di cultura si confrontava rigidamente con se stesso prima dì tutto, con i libri perché amava imparare, con gli altri perché prima degli altri capiva, per sé, l'importanza di evitare il pessimismo delle miserie quotidiane.
A San Tomaso il sostegno della chiesa era lui. Don Mazzini troppo ascetico aveva deciso altrimenti. La diversità dei temperamenti li aveva fatti convivere e crescere come un raro esempio della collaborazione cristiana, senza gelosie ed invidia.
In una lettera datata 24 luglio 1962 Don Acciai nel momento di lasciare San To-maso scriveva: "Sto facendo i bagagli di partenza per la nuova destinazione. Via Vesuvio ... meglio un prato ... un po' di fantasia ... e là la futura chiesa".
Si riusciva insieme a lui a costruire dieci mattoni per sera impastando cemento e ghiaia. La chiesa di Cristo era bella costruirla così. Per aiutare un amico a costruire la casa che sapevamo avrebbe potuto ospitare proprio tutti. Nella piccola cappella di via Vesuvio spesso furono ospitate famiglie di sfrattati "Il Signore sarà più con­tento così, io la messa posso dirla anche altrove". Diceva sorridendo Don Acciai. Quando a San Tomaso arrivò un nuovo parroco che dall'altare diceva di essere pronto a dare il suo sangue per le pecorelle della comunità, ma non apriva l'archivio fuori orario, si capì che un'epoca era finita. Don Acciai aveva lasciato eredità di affetti e pienezza di dialogo. Conservo nello studio una vecchia poltrona che mi regalò un giorno. Confesso di averla usata raramente. Non so spiegarmi il perché.
Matteo Lo Presti
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