Testimonianze: L'assistenza ai missionari - Don Acciai - un prete, una comunità, un quartiere

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Don A. Acciai - un prete, una comunità, un quartiere
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Testimonianze: L'assistenza ai missionari

Testimoni
 
L'assistenza ai missionari
 
 

 
 
Col tempo, una delle attività più importanti della parrocchia divenne quella di as­sistere i missionari di passaggio da Genova, soprattutto in partenza per l'America Latina. Si trattava di creare un punto di incontro, caldo e familiare, che li aiutasse, nel delicato momento del distacco, a sbrigare pratiche doganali o a trovare semplice­mente un alloggio. La voce s'era sparsa, e ormai chi stava per andare in missione sapeva che a Genova c'era un recapito sicuro: la parrocchia di Nostra Signora della Provvidenza in via Vesuvio. Si scriveva o telefonava qualche giorno prima a don Acciai, e subito scattava il meccanismo: la gente della "comunità" si occupava delle pratiche e tutta la parrocchia viveva momenti di intenso fervore spirituale; concele­brava la Messa, e la funzione sfociava spesso in uno scambio di osservazioni, infor­mazioni interessanti. Chi andava in missione per la prima volta era invitato ad espri­mere le sue idee, le sue speranze. Religiosi e religiose, che già avevano avuto espe­rienze di missione, facevano partecipe la comunità di via Vesuvio di ciò che avevano vissuto. Il tutto in un clima sereno, che consentiva un reciproco arricchimento.
 
Una sola cosa mancava nella parrocchia di don Acciai, ed erano i tradizionali "gio­chi" per i giovani: gli dava un po' fastidio l'idea di offrire un allettamento frivolo in cambio dell'assiduità alle funzioni, alla vita e alle attività della Chiesa. La parteci­pazione doveva essere sentita, non "contrattata".
 
Don Acciai ha spesso meravigliato, stupito, per il suo anticonformismo, per il suo coraggio, per la sua capacità di dialogo con gruppi delle più diverse tendenze. Tutti, nel rione di via Vesuvio, conoscevano la sua "voglia" di consultarsi con quanto più gente poteva, prima di prendere una decisione. E pagava — dicono — bollette del telefono da 300 mila lire. Ma sapeva bene fin dove poteva spingersi. "Nessuno è mai riuscito a strumentalizzarlo", ci hanno detto. E i risultati che ha ottenuto con­fermano questa affermazione. I timori che oggi vengono espressi, quando si tratta­no i problemi della comunità che fa capo alla parrocchia di Nostra Signora della Provvidenza, possono essere ben compresi, perché "correre sulle grondaie senza ca­dere" non è davvero da tutti.
 
Un cenno a parte si deve fare a questo punto sui rapporti di don Acciai con la comunità di Oregina, la parrocchia confinante con quella di via Vesuvio, nella quale si è sviluppato tempo fa, dietro la spinta di padre Zerbinati, un fenomeno analogo a quello, gia ampiamente noto, dell'Isolotto di don Mazzi, a Firenze.
 
Quando le acque di Oregina cominciarono ad agitarsi, don Acciai fu spontanea­mente portato ad interessarsi del problema. E, come era suo costume, non se ne interessò dal di fuori: andò alle riunioni della comunità vicina, prese parte ai dibatti­ti, alle discussioni, proprio nei momenti "caldi", quelli delle decisioni fondamentali che finirono col portare fuori dall'alveo della Chiesa ufficiale don Zerbinati ed i suoi seguaci. Durante questo periodo nella parrocchia di via Vesuvio, alle intenzioni di preghiera della Messa era divenuta abituale l'invocazione: "Perché la ricerca di questi nostri fratelli sia guidata dallo Spirito Santo, preghiamo". Ma don Acciai, come s'è detto, faceva di più: andava tra i parrocchiani confinanti a discutere ani­mato da spirito di dialogo, alla ricerca di una soluzione buona per la pastorale di quella parrocchia. Questo interessamento sfociò in un dissenso. "Peccato", disse don Acciai: "quelle persone potevano forse essere di stimolo per tutta la comunità ecclesiale genovese". Un giudizio sereno e addolorato, il suo. Peccato, cioè, che la spinta esasperata di un gruppetto avesse finito col portare fuori strada tutta la comunità.
 
In pratica, mentre "il don" svolgeva la sua opera con estrema disponibilità, senza chiedere nulla in cambio e portando alla sua comunità accanto a benefici materiali, un vero accrescimento spirituale, altrove si faceva ideologia, ci si sentiva "forza trai­nante", e forza centrifuga dalle strutture ecclesiali esistenti. Le due esperienze, pur avendo lo stesso anelito di rinnovamento, battevano dunque due strade diverse: via Vesuvio cercava un nuovo impegno restando dentro la Chiesa, Oregina se ne allontanava.
 
Abbiamo accennato ad Oregina per una precisa ragione, per un richiamo a quelli che sono i problemi attuali della comunità di via Vesuvio: senza il suo autore, essa corre il rischio di trasformare la sua spinta innovatrice in un nuovo "caso" di cui la diocesi genovese non ha certo bisogno. E sarebbe davvero un peccato, questa vol­ta anche contro la precisa volontà del suo dinamico ispiratore.
 
Cadere nel gioco delle radicalizzazioni significa, infatti, prestarsi, anche se incon­sciamente, ad una strumentalizzazione attesa, e sperata, da quelle forze che, dopo "l'Isolotto numero due" (Oregina) vorrebbe quello del "numero tre": via Vesuvio, appunto.
 
Luigi Parodi
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