Il lutto: L'Omelia di Sua Em. Card. Siri - Don Acciai - un prete, una comunità, un quartiere

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Il lutto: L'Omelia di Sua Em. Card. Siri

Il lutto
 L'omelia di Sua Em. il Cardinale Siri
 durante la Messa funebre per le vittime di via Vesuvio
 
Pubblichiamo il testo dell'Omelia che Sua Em. il Cardinale Siri ha pronunciato ieri, nella chiesa di N.S. della Provvidenza, a Genova, durante la Messa funebre per le vittime di via Vesuvio.
Il Vangelo letto ora è quello al cui confronto brilla la vita di ogni buon cristiano e di ogni buon sacerdote. E solo nel confronto con la parola eterna, qui c'è conforto e pace. Ho davanti tre bare e due famiglie in lutto. I resti di una tragedia quale non si ricorda nella Chiesa genovese. Ma il bene resta in eterno: solo il male distrugge se stesso. Dietro alla tragedia tutta una parrocchia in lacrime, sulla quale in questo momento tutta una Diocesi si china con affetto fraterno, pari al rimpianto, come se un immenso abbraccio potesse riportare la vita. Ora come se la morte li avesse liberati di un pesante sudario, capace di occultare le grandezze dell'anima, pregando per il suffragio, guardiamo alcuni istanti ai cari Defunti.
 
Il vostro Parroco è tornato a Dio, con sua madre. Guardatelo. Pareva gigantesco, ma aveva il volto con l'espressione semplice, senza sottintesi, immediata di un bam­bino. L'anima, la pulitezza sua, la portava stampata in volto. Non visse che per la sua missione. Sensibile, estroverso, generoso, senza calcoli e senza ambizioni. La sua semplicità era tale che gli permise di correre sulle grondaie senza mai cadere ed ora, nella chiarezza della morte, offre la chiave di interpretazione della sua vita. Fu per questa semplicità dell'animo, incontestabile, che egli fu in grado di capire la sua gen­te e voi foste in grado di capire lui. La semplicità e la immediatezza in lui erano Fede.
 
Seguendo l'indicazione del suo carattere, egli non si diede al ministero, vi si gettò e vi si consumò. Meritò di morire in modo che esprime il fuoco della sua carità; il giorno della morte afferrai un giudizio da una persona e lo trovai giusto: è morto sul rogo della sua carità. Tutta quella carta e cartaccia raccolta, causa dell'incendio sornione, prima venefico che avvampante, era uno degli sforzi della sua carità. Per questo era capace di far tutti i mestieri, di gettarsi in tutte le più estenuanti fatiche, faceva anche il trasportatore di mobili, le pulizie, ogni cosa quando si trattava di servire. Ma voi che lo avete amato, ricordate che questo faceva per amore di Dio. Per sé, nulla. C'è gente che all'ombra della ostentata solidarietà col prossimo, va a nascondere le proprie passioni ed il proprio inestinguibile orgoglio; lui no. Senza recitazioni, senza presunzioni egli fu in meno a voi sempre, giorno e notte; servì con spirito puro, assecondato dalla gagliardia del suo poderoso fisico e tutto fece come se fosse nulla. Assecondò fin dove poté, pur di salvare, si ritrasse quando la sua limpida Fede lo fermava. I fatti li conoscete, la sua figura resti scolpita in voi.
 
Quasi a confermare che la faccia di bambino gli era rimasta, sua madre lo accom­pagnò a Dio, fatto testimone del comune sacrificio.
 
Ed anche questa donna va ricordata, perché tutti intuiscono che parte hanno le madri nel dare un temperamento tipico al figlio.
 
Debbo ora ricordare il vice Parroco, don Orazio. Non sono passati ancora due anni da che gli imponevo le mani per consacrarlo sacerdote, come, del resto, in anni lontani avevo io ordinato don Antonio; e tocca a me celebrare oggi il rito funebre.
 
Don Orazio aveva cattivato a sé tutta la parrocchia di San Marcellino. Venne qui unicamente perché qui c'erano le condizioni per portarlo presto al termine dei suoi studi di musica al Conservatorio, dove era stimato tra i massimi.
 
L'intelligenza la dà Dio, ma l'uso lo facciamo noi. Ricordo che due volte prima delle ultime ordinazioni egli mi disse che intendeva essere prima "tutto prete" poi musico, ma in modo che il musico non dovesse mai nuocere al prete. Anche lui, in un altro modo, era di un'anima semplice, vorrei dire angelica. La cordialità, la di­screzione, il passo leggero, l'operazione senza rumore, la gentilezza innata, la virtù seria e profonda. Lo conoscevo bene. Diversissimo di temperamento era il vice Par­roco: nato, fatto, per don Antonio Acciai. Ora che la luminosità della sua anima cominciava a rivelarsi pienamente qui, si risolse nella mortale fiammata e forse per questo la mano del musico si fermò per sempre su un tasto che raccomando a voi di continuare ad ascoltare.
 
Non posso continuare perché è difficile a me parlare di due sacerdoti defunti, che avevo consacrato e amato. Le condoglianze che mi sono giunte da tutta Italia ed anche dall'estero, dallo stesso Romano Pontefice, hanno reso più evidente il disa­stro, più grande la tragedia. Più sopportabile il dolore.
 
Davanti a me stanno anche quel che rimane di due famiglie: nei loro confronti noi dobbiamo prendere il posto dei figli, che Dio ha chiamato a sé dal loro degno e fruttuoso sacerdozio. Amen.
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