Testimonianze: Una baracca di speranza - Don Acciai - un prete, una comunità, un quartiere

www.personalismo.it
Don A. Acciai - un prete, una comunità, un quartiere
Vai ai contenuti

Testimonianze: Una baracca di speranza

Testimoni
DON ACCIAI: UNA BARACCA DI SPERANZA
Andrea Canevaro

In un incendio, provocato forse da un corto circuito, è morto il 5 aprile don Anto­nio Acciai, parroco di un quartiere popolare di Genova. Con lui sono morti la mam­ma ed un altro sacerdote.
Ho conosciuto don Antonio: abitava in un appartamento in un condominio, e con lui abitavano i genitori e la sorella Giovanna. Era una famiglia come un'altra, con i vicini di casa che volevano bene a quell'omone e a tutti i suoi. Don Acciai era arri­vato in via Vesuvio che non c'era la chiesa, e l'aveva costruita lui, una chiesa-baracca che era sempre un cantiere, perché ognuno aveva portato qualcosa per costruirla e tutti continuavano a portarci qualcosa: uno che sapeva dipingere aveva fatto un qua­dro di soggetto religioso. E in chiesa ci lavorava tutta la famiglia Acciai: la parroc­chia veniva su come un lavoro di tutti, con quel prete che senza atteggiamenti d'avanguardia, con poca enfasi, era un parroco un po' alla Mazzolari (per intenderci).
Per Genova era scomodo: lavorava con tutti, amici e compagni. E la messa era un incontro, una festa, una gioia in cui tutti si sentivano a casa. Era uno dei pochi preti e delle poche chiese dove potevo portare gli amici che non credono senza timore: tutto era chiaro, festoso, serio e umano. Un prete così è morto forse perché stonava in una chiesa sghangherata come la nostra.
Eppure, chi lo conosceva? di Genova in giro va il volto di una chiesa rappresenta­ta dal suo cardinale, e a malapena i contestatori di Oregina, Agostino Zerbinati ed i suoi amici hanno perforato il muro. Il gruppo del Gallo "tiene" da anni con una pazienza che ricorda il lavoro del tarlo. Altri non hanno avuto questa pazienza e se ne sono andati, da Genova o anche dalla sua chiesa, che sembra tanto quella stan­za chiusa che aveva fatto decidere ai due di Emmaus di mettersi in strada. E proprio in strada avevano trovato il viandante Gesù.
Don Acciai era anche lui pronto, per strada. La via Vesuvio era ed è una strada da speculazione edilizia: le case si infittiscono su colline rovinate dall'avidità; in alto c'è il quartiere dei marittimi, e un po' ovunque ci sono famiglie che vengono da lon­tano. Don Antonio ha dato loro una fratellanza. Molti lo piangeranno e si sentiran­no spaventosamente soli, indifesi, sfruttari e spersi in tutto quel cemento. Io ricorde­rò sempre la chiesa baracca e l'appartamento da povera gente della famiglia Acciai. Ci sono approdato tante volte e ci ho trovato papà Acciai che faceva di tutto, dal­l'imbianchino all'elettricista, oltre naturalmente al sacrestano della baracca in cui Antonio era parroco. Ci siamo andati in tanti, e alcuni avevano bisogno di mobili, altri di parole di speranza. Don Antonio non aveva niente ed era capace di dare tut­to. E senza pietismi: con uno stile sempre un po' ironico da uomo che non sa cosa sia il pretesco e il clericale. Don Antonio però alla consacrazione aveva la voce rotta dall'emozione e dalla commozione. Era un prete che ci crede.
È morto nella canonica: aveva abbandonato l'appartamento popolare e la chiesa baracca. Aveva una chiesa monumentale e non era mai stato entusiasta di questa
costruzione troppo costosa per quel quartiere di case fatto su con poco, da speculazione edilizia. Agli amici di Oregina aveva detto che era con loro, ma che non era d'accordo a rompere; che bisognava starci, nella chiesa, a costo di soffrire anche molto. E lui c'è morto, nella chiesa.
"Il Regno"
Bologna, n. 12 - 1974
Torna ai contenuti