Testimonianze: Si fece amare dalla gente
Testimoni
SI
FECE AMARE DALLA GENTE D'OREGINA
SENZA
ESSERE UN PRETE D'ASSALTO
Non è stata soltanto la sua
tragica fine a colpire gli abitanti di Oregina: la fine di don Acciai è rimasta
nella memoria della gente come un fatto sconvolgente anche e soprattutto perché privò un quartiere di un prete
amatissimo. Don Antonio era apprezzato dai parrocchiani e dagli altri; quelli
che in chiesa non ci andavano mai ma riconoscevano la grande onestà e il
profondo spirito cristiano del parroco.
Nato in Toscana, don Acciai arrivò a Oregina nel 1963 a
"governare" una delle zone più difficili di Genova. Il quartiere
nasceva allora e sì popolava di immigrati, di operai, di famiglie povere,
ricche soltanto di bambini. Portò con sé la madre, il padre,
la sorella, e un giovane curato pieno di entusiamo, don Orazio.
Don Acciai non ci mise molto a conquistarsi la stima di
tutti. Parlò fin dal primo giorno un linguaggio semplice, ascoltò i problemi
della gente, celebrò le messe in una baracca trasformata in chiesa, trascorse
il suo tempo a consigliare, aiutare concretamente chi ne aveva bisogno. Un
omone timido, con la faccia quadrata e l'espressione da bambino. Così lo
ricordano gli amici.
Tra le sue battaglie, perché
Oregina diventasse un posto vivibile, ci fu quella condotta per il
prosciugamento dello stagno del Lagaccio. In quel luogo maleodorante troppi
bambini erano morti giocando. Fu anche grazie a lui che la bonifica si fece e che partì il progetto di costruire impianti sportivi al posto dello stagno.
Nel 1969 don Acciai lasciò la baracca dove per tanti anni aveva celebrato la
messa e si trasferì nella nuova chiesa di "Santa Maria della
Provvidenza". Un casermone in cemento, senza ornamenti e oggetti di
valore, una chiesa povera che così avrebbe dovuto, nelle intenzioni di don
Acciai, rimanere sempre.
Fu allora che si disse di lui che era un
"prete d'assalto". Ma lui rifiutò sempre quella etichetta e, quasi a
smentire chi lo descriveva come un prete moderno, indossava sempre la veste,
anche quando gli altri sacerdoti iniziavano a portare il "clergyman".
La modernità di don Acciai non era estetica,
era profonda. Organizzò assemblee sui problemi del quartiere perché "la
chiesa è un luogo di preghiera — diceva — ma non la si profana se, invece di
pregare, si discute", creò una biblioteca, collaborò con i giovani che
volevano pubblicare un giornalino di quartiere.
In due stanze, affittate
insieme con i suoi collaboratori, raccolse mobili e li distribuì ai poveri.
Quando, quel tragico 5
aprile del '74, si sparse la notizia della sua morte furono migliaia i fedeli
che si raccolsero davanti alla chiesa ancora impregnata dell'odore del fumo, a
pregare per il parroco, la madre, il giovane curato uccisi da un incendio
troppo devastante per essere soltanto il frutto di un incidente.
"Il Secolo XIX" del 3-2-1984