Testimonianze: A me piace ricordarlo così - Don Acciai - un prete, una comunità, un quartiere

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Don A. Acciai - un prete, una comunità, un quartiere
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Testimonianze: A me piace ricordarlo così

Testimoni
A ME, PIACE RICORDARLO COSÌ
Di don Acciai sento che potrei dire molto perché lo conobbi fin da quando ero bambino, fin da quando la Chiesa era nella Baracca.
 Don Acciai era un uomo buono e paziente, consapevole della sua difficile missio­ne in un quartiere che andava disumanizzandosi a causa delle condizioni create dalla speculazione edilizia. Formare una "comunità cristiana" laddove arrivano ad onda­te gruppi disomogenei di persone era difficile.
Ricordo quando dedicava gran parte del pomeriggio a bande di bambini, sposo disadattati, affidati dalle madri alla Chiesa per levarseli di casa; ricordo il suo impe­gno nel dare ai giovani una coscienza, un motivo di vita che potesse manifestarsi in un impegno socialmente utile, veramente cristiano, come i Volontari del Soccor­so, Mani Tese ecc.
 
Negli anni della contestazione, durante la mia adolescenza scelsi la fede nell'uo­mo, divenni ateo, ma è proprio in questi anni che apprezzai maggiormente don Ac­ciai, per il suo essere se stesso, per il suo coraggio nel sostenere apertamente le pro­prie convinzioni cristiane e di tolleranza e di amore.
 
Un uomo senza compromessi e onesto che ha pagato spesso di persona, se non addirittura con la sua persona, le scelte "anomale" che ha fatto. Dal riconoscimen­to della Repubblica Democratica Tedesca (i tempi della guerra fredda non erano lon­tani), ai rapporti critici, ma amichevoli, con la Comunità di Oregina; dalle lotte per la nuova Chiesa a quelle per il prosciugamento del Lagaccio. Uno dei suoi gesti "di amore" e di tolleranza che mi stupì maggiormente fu quello di consentire al nostro Circolo Culturale di Quartiere (nato nel 1971 e tuttora vivente con sede al Lagaccio) allora senza sede, di alternare le sue riunioni, le sue attività tra i locali della Chiesa e quelli della sezione del Partito Comunista, arrivando al punto di consentirci di di­battere in Parrocchia, nonostante i veti cardinalizi, il tema del divorzio ben sapendo che la totalità degli aderenti al circolo, cristiani e non, era favorevole al manteni­mento della legge e intedeva fare di quell'iniziativa un momento di propaganda per il No.
 
Queste mie riflessioni, questi miei ricordi sono dettati dall'esigenza di far rivivere una parte spesso volutamente dimenticata, perché scomoda, di quello che era don Acciai.
 
Oltre ad alcune lunghe chiaccherate, il mio ricordo più vivo, più segreto di questo prete dalle mani grosse è legato però ad un triste giorno di pioggia. Durante l'ac­quazzone nella mia stanza di studente, decisi che era ora di alzarmi un attimo dai libri e andai alla finestra che da sulla nuova Chiesa. Da lì vidi don Acciai solo, con un grosso pezzo di armadio sulle spalle, mentre si dirigeva verso la scalinata che por­ta da via Vesuvio bassa a via Vesuvio alta. Stava portandolo ad una famiglia di zin­gari alla quale era riuscito a trovare una vecchia casa. Combatteva così una sua bat­taglia contro la diffidenza generale che vede negli zingari dei ladri, stava portando a termine un piccolo pezzo della sua lotta contro la solitudine, l'emarginazione e la povertà. A me piace ricordarlo così.
 
Girani Alberto
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