Testimonianze: Un prete per il nostro tempo - Don Acciai - un prete, una comunità, un quartiere

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Testimonianze: Un prete per il nostro tempo

Testimoni
UN PRETE PER IL NOSTRO TEMPO
Scorrendo queste pagine, chi non è stato testimone dei fatti potrebbe pensare che si stia tessendo uno dei consueti elogi "post mortem". Non solo per fugare questo sospetto, ma soprattutto per aiutarci a cogliere il valore profondo del "segno" don Antonio e dei suoi fratelli nel rogo di Via Vesuvio, unisco il mio contributo a quello di tanti amici della Provvidenza. Con esso vogliamo dare voce anche a quanti non possono essere ospitati in queste pagine, ma hanno un tesoro prezioso di ricordi da affidare alle nuove generazioni. È sopratutto per i più giovani che desidero ricor­dare la dolce e bonaria figura del prete di via Vesuvio; in Lui oggi ritroverebbero un Amico paziente e comprensivo, una guida sicura per incontrarsi con Gesù. La giovinezza è anche la primavera della generosità e ci auguriamo che siano molti a seguire il cammino tracciato dal sacerdozio di don Antonio.
Ripercorrendo le tappe della giovane chiesa di via Vesuvio sino all'epilogo del 5 aprile 1974, mi sorge spontaneo il confronto con la Chiesa nascente attorno ai testimoni del Cristo vivente, gli Apostoli.
Sicuramente i primi dieci anni della Parrocchia e i venticinque di sacerdozio di don Antonio, hanno la caratteristica dello slancio e dell'entusiasmo apostolico. Non è retorico affermare che la mente e il cuore sacerdotale di don Antonio sí sono mossi sotto la guida dello Spirito.
Non erano pochi coloro che guardavano con una certa titubanza (alcuni, purtrop­po, con irrisione) alla sua semplice e totale disponibilità.
Salito da S. Tomaso, per incarico del suo Vescovo, stava costruendo material­mente, con un gruppo di giovani, la casa di Dio e degli uomini. Poco alla volta altre braccia s'unirono alle prime e nacque quella collaborazione che è stata la pre­messa della comunità credente ed orante del nostro quartiere.
Quelle povere e squallide mura accolsero la solida fede degli anziani, lieti di avere una casa per la preghiera, e la spontaneità delle prime generazioni di giovani. Con­frontarsi con il Cristo Uomo-Dio, riscoperto nel segno grande dell'Eucarestia e del sacrificio, era l'abituale stile di questa giovane comunità. Che esso poi abbia genera­to le prime esperienze di servizio sociale nel quartiere, era la più logica conseguenza.
Don Antonio, in tal modo, faceva comprendere più con la vita che con le parole che cosa significasse portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Il rogo del 1974 non doveva cancellare e non ha cancellato la preziosità di questa testimonianza. Una consapevolezza nuova e un maturo senso di responsabilità sono passati ai rimasti e a coloro che hanno ricevuto il mandato di Pastori del gregge di via Vesuvio.
Molti sono gli aspetti del sacerdozio di don Antonio che possono essere sottoli­neati. Io mio limito a indicarne due: la sua Fede e la sua fraternità sacerdotale.
La Provvidenza ha voluto che io vivessi più da vicino nell'ultimo anno della sua vita, le sue ansie sacerdotali. Ma già prima, periodicamente, avevo avvertito in Lui tutta l'intensità delle cose in cui credeva, e per cui operava. Era un assetato di Dio e di tutte quelle esperienze, soprattutto giovanili, che Io facevano sentire più consa­pevolmente sacerdote. Le sue vacanze erano i corsi di Esercizi Spirituali e le Mariapoli da cui tornava col cuore colmo di gioia.
Da Spello, dopo aver accostato la spiritualità dei Piccolo Fratelli di Gesù, mi scriveva su una cartolina un "bellissimo" lapidario, segno di quella sua concreta intui­zione dell'essenziale. Rispettoso, timoroso di violare l'intimità di quanti avvicinava, sapeva attendere, pregare e amare. In tal modo molti in lui colsero un cuore grande che sapeva dire molti "no" a se stesso e un "sì" affettuoso a quanti venivano a lui. In questa prospettiva ho avvertito più volte la sua fraternità sacerdotale. Non stu­pisca questo accenno; ritengo che nel popolo di Dio coloro che meglio devono dimostrare la realtà dell'amore reciproco sono i consacrati e i sacerdoti. In particolare l'ho sentito vicino quando, discreto come sempre, ha vissuto con me l'esperienza del dolore che aveva colpito la mia famiglia. Mi aveva voluto vicino nella gioia del suo venticinquesimo di sacerdozio, non poteva non essermi vicino nel giorno della prova e non potevo e non posso non esserlo io a quelle che è stata la sua opera vivente, la chiesa di via Vesuvio. Mi rimane un rimpianto, quello di non avere sempre capito l'intensità dei suoi silenzi e la profondità del suo pensiero, così spesso filtrato nei frequenti e succosi messaggi alle famiglie o nel giornalino parrocchiale.
La sua giornata terrena, come quella di don Orazio e di Mamma Emma, si è chiu­sa tragicamente; il calvario è stato per lui di un'evidenza straziante. Eppure, nella luce della Fede, questo è stato il momento più significativo della sua Vita! Continua a dirci, a tutti, ma specialmente a noi sacerdoti, cosa significa "fare la volontà dí Dio"!
Genova, 1° aprile 1978
Don Enrico Reperti (Sacerdote Salesiano)
"Vivere e Comunicare" - aprile 1978
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