Testimonianzde: un prete che "correva sulle grondaie" - Don Acciai - un prete, una comunità, un quartiere

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Don A. Acciai - un prete, una comunità, un quartiere
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Testimonianzde: un prete che "correva sulle grondaie"

Testimoni
 
UN PRETE CHE "CORREVA SULLE GRONDAIE"
 
Un parroco che aveva saputo immergersi con semplicità nei problemi dí un quartiere difficile di Genova.
La tragica fine, con la madre e un altro prete, nell'incendio della chiesa.
Ora la comunità di via Vesuvio vuole continuarne l'opera
 
"Famiglia Cristiana" del 7/7/1974

 
A tre mesi dalla morte di Don Acciai
"La sua semplicità fu tale che gli permise di correre sulle grondaie senza mai cade­re".
La definizione è del cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, e si riferi­sce a don Antonio Acciai, parroco di via Vesuvio, morto a cinquant'anni, assieme a sua madre ed al giovane sacerdote don Orazio Chiapparo, nell'incendio sviluppa­tosi nella chiesa di Nostra Signora della Provvidenza, il 5 aprile scorso.
 
Parliamo ancora di don Acciai perché é stato un parroco "diverso".
 
La sua opera, e soprattutto il suo stile, hanno fatto discutere e a volte arricciare il naso. La sua drammatica fine ha sollevato in tutta Genova un'ondata di sincera commozione. Le fiamme che l'hanno ucciso s'alimentarono proprio sulla carta rac­colta per i poveri e ammassata sotto la canonica: tanto che alcuni, a Genova, hanno detto che don Acciai è morto "sul rogo della sua carità".
 
Per capire é necessario rifarsi all'ambiente nel quale don Antonio era arrivato do­dici anni fa: la zona di via Vesuvio, classico quartiere-dormitorio, come ce ne sono tanti nel triangolo industriale Genova-Milano-Torino. Caseggiati fittissimi, ogni metro sfruttato intensivamente, senza pensare troppo alle strade, alle scuole, al pronto soc­corso. Di chiesa, intesa come edificio, non si parlava nemmeno in quel primo agosto del 1962, quando lui vi approdò. Il quadro era sconsolante, ma don Antonio si rim­boccò le maniche: nella stessa estate del 1962 viene costruita una chiesa-baracca, be­nedetta il 22 dicembre dal cardinale Siri. Un mese dopo, la chiesa-baracca viene pro­clamata parocchia.
 
La popolazione della zona è composta prevalentemente di operai dell'Italsider, della San Giorgio, da impiegati, da marittimi. Molti sono gli immigrati: hanno scelto una zona vicino al porto nella speranza di trovare almeno occupazioni occasionali. Il la­voro che si prospetta al nuovo parroco è immenso. Ma la sensibilità di don Acciai per i problemi di un quartiere cresciuto troppo in fretta, afflitto da una quantità di disfunzioni, lo porta ad agire subito e con efficacia. E "il don" (così lo chiamava la gente di via Vesuvio), con il suo fare spontaneo, finisce per il coinvolgere una quan­tità di persone nelle sue iniziative.
 
Uno dei primi problemi affrontati è quello dei soccorsi d'emergenza. Nella zona, con una sistemazione viaria assai approssimativa, le autoambulanze tardano ad arri­vare. Ci scappa il morto. Don Acciai fonda allora i "Volontari del Soccorso", do­tandoli di un'autoambulanza. Col tempo se ne aggiungerà un'altra, dono della Finmare.
 
Per tante famiglie l'affitto di settanta-ottantamila lire al mese è insopportabile: oltre al marito, anche la moglie deve mettersi a lavorare, e i bambini restano spesso abbandonati a sé stessi. Ci si organizza, e in parrocchia nasce un doposcuola gratuito. Don Acciai non si fa mai pagare; si mette al servizio degli altri, ín assoluto. Non fa pagare nemmeno le tariffe fissate per i matrimoni e altre cerimonie, ma versa regolarmente le percentuali dovute alla Curia. Paga di tasca sua. Lo stipendio di insegnante e la congrua finiscono regolarmente nella cassa della parrocchia. Lui e la sua famiglia vivono della pensione del padre e dello stipendio della sorella Gio­vanna, impiegata.
 
Muoiono nel quartiere alcune persone intossicate dal gas degli scaldabagni? Don Acciai convoca un'assemblea per la quale (primo caso in Italia) mette a disposizione addirittura la chiesa (che intanto è passata dalla baracca ad un salone sul quale do­vrà essere costruita la chiesa definitiva). All'assemblea vengono invitate le autorità che hanno competenza in materia. La questione degli intossicati per il gas, che non viene eliminato adeguatamente e si diffonde nelle case, viene publicizzata al massi­mo. Don Acciai ha capito che per ottenere qualche cosa di concreto bisogna cercar edili e i fabbricanti di apparecchi a gas ad usare determinati accorgimenti per garan­tirne la sicurezza degli inquilini, gran parte del merito va attribuita al parroco genovese.
 
(la n. 1083, che peró manca ancora di un regolamento) che impegna i costruttori di sensibilizzare l'opinione pubblica. E ci riesce al punto che, se oggi esiste una legge
 
In questa, come in tante altre azioni, don Acciai parte dal principio che la Chiesa deve impegnarsi anche in maniera temporale, laddove le strutture dei vari enti (Sta­to, Regione, Provincia, Comune eccetera) si dimostrino carenti. Ma ammonisce pure che questa funzione non deve istituzionalizzarsi; deve essere, cioè, una carite-vole supplenza per tappare le falle dell'organizzazione della società. Un altro esem­pio: don Acciai aveva organizzato una scuola media serale gratuita per gli adulti; i professori si prestavano (e si prestano tuttora) gratuitamente. Se in un prossimo futuro, come sembra, lo Stato darà questa stessa possibilità ad operai, impiegati, a quanti ne abbiamo bisogno, la parrocchia di Nostra Signora della Provvidenza chiuderà i suoi corsi, perché avrà esaurito la sua funzione di supplenza. Lo stesso dicasi per il doposcuola, di cui si è già parlato.
 
Un altro episodio significativo per comprendere l'opera di don Acciai è quel­lo del Lagaccio. Esisteva, non lontano dalla parrocchia di via Vesuvio, un bacino artificiale assolutamente inutile; nel settembre del 1971 vi annegò un bimbo nel tentativo di ripescare un giocattolo. Quel bacino era già stato causa di altre disgra­zie, ma nessuno si era mosso per eliminare il pericolo. Dopo la morte del bimbo, don Acciai provocò una vivace "campagna" per svuotare il Lagaccio. Oggi sul vuoto del bacino svuotato si sta completando la costruzione di alcuni impianti sportivi.
 
Particolare importante: il Lagaccio non era nella parrocchia di don Acciai, ma la spinta che animava le sue iniziative andava spesso al di là dei confini parrocchia­li. Quando vi fu il tragico crollo di un caseggiato di via Digione, "il don" fu tra i primi a recarsi sul posto. "C'è qualcuno che soffre", diceva ai suoi più vicini collaboratori. "Dobbiamo andare a vedere se possiamo fare qualche cosa".
 
Altra iniziativa singolare: la raccolta di mobili usati. Molte delle famiglie che andavano ad abitare nella sua zona non avevano quattrini per arredare l'apparta­mento preso in affitto, e don Acciai creò per loro una specie di "raccolta conti­nua" presso famiglie genovesi che, rinnovando il mobilio, volevano disfarsi di quello vecchio. Era lui stesso, aiutato dal padre o da qualche volenteroso occasionale, che faceva la raccolta. Chiedeva, poi, alle imprese di costruzioni che operavano nella zona, di cedergli per qualche tempo i locali al piano terra per collocarvi i mobili in attesa di destinazione definitiva.
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