Testimonianze: Pose le premesse della nostra crescita - Don Acciai - un prete, una comunità, un quartiere

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Don A. Acciai - un prete, una comunità, un quartiere
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Testimonianze: Pose le premesse della nostra crescita

Testimoni
POSE LE PREMESSE DELLA NOSTRA CRESCITA
Sono in via Vesuvio dal 1978, suo terzo successore a cinque anni dalla sua morte. Anni non facili per i primi due parroci: non è comodo raccogliere certe eredità. Per me forse è più semplice, perché di questa eredità si accolgono prevalentemente i valori; si smorzano i confronti ed alcune tensioni, che la stagione stessa porta con sé e che la diversità delle persone può qualche volta aver arcuito.
Posso dirmi "fortunato". Trova una parrocchia con tanta voglia di esplodere nei suoi valori, dopo tanta sofferenza. La seminagione iniziale è stata prevalentemente la sua: a larghissime mani e larghissimo cuore! Il concime della sofferenza è suo (ba­sti la sua morte!), della comunità cristiana tutta, dei suoi due primi successori e del vice parroco don Mario Colella, che è qui dal 1975. Ora si continua la semina, ten­tiamo di non calpestare le prime seminagioni e forse raccogliamo già qualche frutto.
Don Acciai: non posso dire di averlo conosciuto. Un solo incontro, frettoloso, un po' imbarazzante da parte sua, mi lasciò — quindici anni fa — l'impressione di un uomo timido e travolto dal lavoro di una parrocchia da poco nata e già piena di movimento.
Conoscere una persona "di riflesso" può essere più difficile, ma — se non cì si ferma alle prime impressioni — forse anche più utile.
Più volte la sua morte un po' "eroica", che ha coronato per un verso una vita non certo di routine, ha rischiato e rischia di ridurre il "vero" valore della sua testi­monianza. È un rischio che la Chiesa corre da sempre: quando "santifica" un suo figlio, proprio nell'intento di proporne i meriti, lo allontana insesorabilmente da noi. E quando un uomo è fuori tiro, spinto verso il mito, ha sempre meno da dirci: l'am­mirazione diventa commemorazione sterile, la testimonianza sa di troppo gratuito e di scontato. Non hai più il fratello maggiore che ha condiviso la tua sorte e, faticosamente, ti ha aperto una strada, ma un "eroe" che quasi ti umilia, perché solo a lui e non ai comuni mortali tutte le ciambelle sono uscite col buco.
Di Don Antonio, invece, senti il racconto della gente che, generalmente ne riporta il valore e non ne diminuisce il merito, perché sottolinea pure la sua "normalità".
Pulito, generoso, appassionato, fedele anche nel sacrificio, costruttore di comu­nione, distributore di positivo, uomo di fede tradizionale e cristallina: sono le virtù di tutti i veri padri di famiglia, patriarchi nella vita e nella fede, dissodatori di terre aride e raddrizzatore di sentieri distorti.
Gente che "apre gli occhi" ai suoi figli e li libera dai falsi miraggi.
Tratteggi così non solo don Acciai, ma anche suo padre Giuseppe, che è ancora sulla breccia, sereno, e la mattina dopo l'incendio, lui che ha perso moglie e figlio, fa coraggio a tutti ...
Tutta questa robustezza, non solo fisica ma morale, è "rimasta nell'aria" qui in via Vesuvio.
Io, parroco di oggi, sento che è la vera ricchezza che don Antonio ha lasciato qui.
Qui ha costruito la prima chiesetta, il salone-chiesa, la canonica e le opere parrocchiali, ha dato inizio a mille iniziative piccole e grandi ma, a mio giudizio, non sono neppure queste le cose più importanti. Ha fatto soprattutto un'opera di pre-evangelizzazione che ha toccato tutti. Fu davvero, senza retorica, un araldo di Gesù Cristo. Non ebbe il tempo di costruire, su questa premessa, nuove personalità cri­stiane. La comunità aveva da lui solo intuito la bellezza del Vangelo: non c'è stato il tempo di impregnarsene al punto tale da resistere alle bufere ormai per forza di fede propria.
Sul terrazzo del salone che fino ad oggi ha funzionato da chiesa ha lasciato, appe­na emergenti, puntati verso l'alto, i plinti della nuova chiesa.
Questi monconi di pilastro sono un simbolo per noi: è "un auspicio!" (come scri­veva lui nel 1972). È la sua e nostra volontà di continuare a costruire la chiesa, nel cuore del quartiere. Sui tronconi della sua pre-evangelizzazione ora tocca a noi co­struire una fede motivata e operativa, su continuità di fede, di speranza e di passione per il Vangelo: perché anche oggi l'uomo del nostro quartiere sia "vivo".
don Marco Granara
attuale [ndr. al tempo della lettera] parroco di N.S. della Provvidenza

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