Una baracca per il buon Dio, da "Il Nuovo Impegno" quindicinale A.C. - Don Acciai - un prete, una comunità, un quartiere

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Una baracca per il buon Dio, da "Il Nuovo Impegno" quindicinale A.C.

Lettere
UNA BARACCA PER IL BUON DIO
da "Il Nuovo Impegno", Quindicinale dell'Azione Cattolica, n. 3, febbraio 1969.
 
Sullo spiazzo di Via Napoli, dove ha inizio Via Vesuvio, a Genova, c'erano sempre i "baracconi" e le "giostre".
Quando si fece urgente, nella zona, la presenza di un centro religioso, nacque l'idea di montare su qualcosa di simile per il "Buon Dio".
Così fu: ed in poco tempo venne fuori una bella "baracca" — almeno vista dal di fuori — che fa molto "Betlemme" con la sua forma allungata e bassa. Ma, se ne varcate la saracinesca, avete la netta sensazione di essere in chiesa; e, con la grande mensa dell'altare che domina e incentra gli sguardi, si sente che è la "casa di Dio" e la "casa del popolo di Dio".
"Una baracca per il buon Dio".
Così chiamava don Acciai il capannone sorto sullo spiazzo di Via Napoli dove ebbe inizio la vita della Parrocchia.
Questa — da oltre 5 anni e nell'attesa della chiesa definitiva — è la sede provviso­ria della comunità parrocchiale "N.S. della Provvidenza".
 Attorno al capannone centrale sono cresciute in questi anni, con lieta sorpresa, via via come funghi, altre "baracchette" aggiunte e funzionalissime per le varie atti­vità religiose e sociali che formano l'attuale complesso parrocchiale di Via Vesuvio.
 Queste costruzioni sono molto care a tutti, anche perché venute su alla "garibaldi­na", con materiali di ricupero da vecchi capannoni industriali, e portate a termine col consenso entusiasta di tanti volontari: squadre gratuite di operai che vi hanno lavorato tante domeniche; generosi "scouts" e i ragazzi della zona, infaticabili for­giatori di blocchetti di cemento.
 Questo spirito che ha animato la costruzione materiale si è tentato di tenerlo vivo soprattutto per la ben più difficile costruzione di una "comunità viva che tutta e solo si ispirasse al Vangelo".
 La povertà dei mezzi, accettata e amata, ha voluto essere una componente della nostra attività in un ambiente molto sofferente, perché in buona parte formato da persone di recente immigrazione, con problemi gravi di adattamento e con frequenti spostamenti. L'accettare le cose smesse da altri è stata una necessità che abbiamo cercato di trasfigurare nell'amore, unito ad una completa disponibilità di tempo e di servizio verso tutti. Nel primo Natale passato assieme, dicevamo: "Cristo visibil­mente rinnova la sua incarnazione nel nostro quartiere".
 Quindi la meta principale è stata la necessità di formare una vivente comunità cri­stiana: la famiglia di Dio. Il concetto di "comunità" è quello che è stato più propo­sto e che si è tentato di attuare: dalle gite comunitarie, con giornate intensamente vissute, alle frequenti "revisioni di vita sugli impegni comunitari"; dai "festivals" per le varie età, al clima di preghiera, all'amministrazione dei sacramenti realizzati come azioni più comunitarie possibili. Indimenticabili certi battesimi amministrati tra il folto gruppo dei ragazzi del catechismo, alla domenica mattina!
 Il fatto di essere nati come "parrocchia della strada", senza locali, ci ha portato, in molte circostanze, a creare la comunità sulle piazze, nei bar, sui prati. Nel pensie­ro che "comunità parrocchiale" più che questione di locali è questione di "stile", di "animo", si è cercato di fare circolare idee,di fare catene di inviti, di far sentire e quasi vedere plasticamente che la salvezza viene da Dio ed è annunziata dai figli della famiglia di Dio.
 Abbiamo tentato di realizzare una comunità cristiana basata sulla Sacra Scrittura. Abbiamo voluto, così, distribuire a tutte le famiglie il Vangelo, abbiamo moltiplica­to le veglie bibliche, soprattutto con l'intervento dei giovani.
 Il fatto che, in diverse circostanze, gruppi di giovani e ragazze, a due a due, andassero alla sera nelle case per una brevissima visita, leggendo un brano del Vangelo, portando i messaggi del Concilio e porgendo auguri per l'imminente festa voleva essere un aspetto di questa catechesi biblica e comunitaria.
 Particolarmente curata la S. Messa come "banchetto familiare" e sacramento dell'amore, forza unificante della comunità cristiana. I canti e le preghiere comunitarie, la comunicazione dei fatti e degli impegni della comunità trovano, nel clima caloroso della Messa, il loro naturale fulcro propulsore. Gli stessi matrimoni, che a volte vengono celebrati alla domenica, non si ha l'impressione che stonino, perché la gioia di una famiglia viene vissuta e partecipata anche alla comunità circostante.
 Lo stesso impegno gravissimo e oneroso della costruzione della "nuova chiesa" viene affrontato in questo clima comunitario. Le raccolte che si fanno vengono effettuate caseggiato per caseggiato, dalle varie signore dello stabile, a turno, e coinvolgono prima o poi tutti, nello spirito che, praticanti o non praticanti, la chiesa nella zona è di tutti e tutti debbono concorrere.
  Un capitolo a parte ha avuto, nella nostra comunità, la pratica dell'amore in tante attività. Dalla S. Vincenzo all'assistenza sociale, attivissima col patronato ACLI; dal doposcuola gratuito per i ragazzi delle medie ai corsi professionali; dalle "giornate dei donatori di sangue" al continuo ritiro di mobili e consegna gratuita a famiglie bisognose, con un deposito sempre ben rifornito che ci ha permesso, nel giro di poche ore (magari dalla mezzanotte alle due di notte!), di montare interi appartamenti con squadre di giovani.
 Questa sensibilità per le necessità di "casa nostra" ha avuto esplosioni di generosità in particolari momenti di calamità nazionali. Tipico esempio: in due giorni, nell'alluvione del novembre 66, fu riempito un autotreno con rimorchio, con vestiario e coperte e fu portato con un'autocolonna direttamente agli interessati. E non fu una volta sola!
 Si è tentato, nel clima comunitario, di risolvere particolari casi di famiglie bisognose: ricoveri di ragazzi e vecchi; difficoltà iniziali di famiglie di recente immigrazione.
 Abbiamo, in una zona un po' distaccata, un appartamento in una vecchia casa. Ottant'anni fa ci stava un prete e vi diceva Messa. Dopo tante vicissitudini, siamo tornati a dirci Messa: su un vecchio "comò" come altare, e le persone tutte strette attorno!
 Quell'appartamento, che euforicamente chiamiamo "dacia", ci è servito per dare gratuito alloggio ad un "barbone" (che così si è nuovamente inserito nel vivere civi­le) e ad una famiglia di "zingari" che hanno accettato di abbandonare il loro classi­co mondo girovago (assicurando, tra l'altro, la frequenza regolare dei figli alla scuo­la: quattro in età scolastica e ... analfabeti) e si sono inseriti nel mondo del lavoro, con il relativo godimento dei diritti e doveri sociali. Ora le Messe che si continuano a dire lì — pur tra il chiocciolar delle galline, l'odore della cucina e i ... frequenti inconvenienti di una famiglia con tanti bambini anche piccoli — sembrano più calo­rose di quelle dette altrove; ed anche i vicini, frequentemente e spontaneamente, ri­petono il gesto dei Magi ...
 Pur con la "fame" di "locali", ma proprio per la carità, siamo riusciti a metterne su di nuovi, quando se ne è presentata la necessità:
— la FUCI ha bisogno di un locale per deposito di medicinali per i poveri? Non han­no che da dirlo: una domenica mattina alcuni operai volontari si mettono al lavo­ro e il locale è pronto;
— ... un gruppo raccoglie medicinali "campioni gratuiti per i medici' a favore del­l'America Latina e vuole un grande locale? La Provvidenza ci viene incontro ed il locale è già in funzione.
La nostra zona era sprovvista di "pronto soccorso" e, per il passato, si erano veri­ficati dei decessi proprio per la mancanza di un sollecito trasporto all'ospedale. Con­statato questo, la comunità parrocchiale, con i giovani particolarmente, si mette a servizio della zona e chiama a raccolta le varie forze che, al di sopra delle proprie idee, danno vita ad un servizio continuato di "pubblica assistenza", con una prima autoambulanza seguita subito dopo da una seconda, in modo da garantire immedia­to aiuto ai fratelli sofferenti, durante tutte le 24 ore della giornata.    L'iniziativa, oltre ad aver portato immenso bene, ha voluto essere anche un terreno d'incontro per tan­ti che forse non sarebbero stati sensibili ad altri aspetti dell'attività della parrocchia.
  La comunità parrocchiale, soprattutto attraverso le ACLI e partecipando a tutti i vari comitati, ha vissuto i problemi del quartiere: zone verdi, campi da gioco per i bambini, strade, mezzi pubblici, ecc. La voce della parrocchia si è fatta pure sentire perché il nostro quartiere, di recentissima costruzione, non sia solo un "dormito­rio" ed un "quartiere d'angoscia", ma un ambiente il più umano e confortevole possibile.
  Questi tocchi mettono in evidenza l'anima tormentata di questa zona, fatta di tan­te luci e tante ombre, di tanta contestazione e di tanti fermenti positivi. Ma ogni giorno aumenta la necessità che l'evangelizzazione sia opera particolarmente dei laici e che siano loro a promuovere raduni, guidare discussioni, assumere sempre nuove respon­sabilità per la continuazione dell'attività comunitaria. Ci si deve continuamente sfor­zare di essere "segno", realizzando quanto Cristo ha detto: "amandovi, riconosce­ranno che siete miei discepoli!". Possibilmente tutti coinvolti da questa idea: essere non spettatori, ma attori.
Don Antonio Acciai
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