Lo spirito durante la prigionia - Romanze di San Giovanni della Croce

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Lo spirito durante la prigionia

S. Giovanni della Croce > La vita del Santo
Sulla prigionia di Giovanni c'è chi insiste puntigliosamente a descriverne l'orrore, e chi si destreggia per ridimensionare l'accaduto.
Ne parlò lo stesso Santo come esperienza di morte e di resurrezione: «Dopo che quella balena mi inghiottì e mi vomitò su questo porto straniero [in Andalusia], non ho meritato né di vedere Nostra Madre, né i Santi di costà... [di Castiglia]» (Lett. 1).
 
Giovanni ci rivela la sua avventura in termini biblici ed usa «Santi» per indicare i fratelli e le sorelle nella fede.
Descrive "la più oscura «notte dello spirito», notte in cui «l'elemento divino investe l'anima per rinnovarla e renderla divina... assorbendola in una tenebra profonda, ne sminuzza e disfà la sostanza spirituale, in maniera tale che ella si sente consumare e struggere alla vista delle sue miserie, provando una crudele morte di spirito.
 
Le accade [all'anima] come se, inghiottita da una bestia, sentisse di essere digerita nel ventre tenebroso di essa, soffrendo le angustie provate da Giona mentre si trovava nel ventre del cetaceo. Le conviene tuttavia rimanere in questo sepolcro di oscura morte in vista della risurrezione spirituale che l'attende" (2 N 6,1).
 
La prigionia di Giovanni della Croce diviene emblema teologico-spirituale per: “un ambiente adatto all'accadere di un evento pasquale di morte e resurrezione”, entro il quale meditò sul mistero dell’eterno amore trinitario
 
che vuole bruciare la creatura, attiran­dola in sé, per farla morire e risorgere:
 
un mistero che coinvolgeva l'intera creazione e l'intera Chiesa’
 
 
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