Il carcere
S. Giovanni della Croce > La vita del Santo
Il 4 dicembre 1577, dalla casetta addossata al monastero dell'Incarnazione in Avila, fra Giovanni venne arrestato, malmenato e fatto «sparire», al punto che qualcuno ipotizzò che l'avessero trascinato a Roma o addirittura ucciso.
In realtà fu trasferito nel carcere conventuale del Carmelo (Toledo) e condannato come disubbidiente ai superiori dell'Ordine, ribelle e contumace, quindi sottoposto a tutte le censure e rigori dell'Ordine al riguardo.
Sul suo corpo già indebolito dalle rinunce, le piaghe provocate dalle vergate non si rimarginarono tutte nemmeno a distanza di anni e altrettanto doveva essere piagato il suo morale dall'assenza di ogni conforto materiale e spirituale nei nove mesi in cui non gli fu concesso di assistere alla Santa Messa, né di ricevere l'Eucaristia.
In tale prostrazione, per farlo retrocedere dalla sua adesione alla riforma teresiana, tentarono lusinghe e offerte di beni, minacce anche di morte, calunnie e accuse di orgoglio e di contrasto con le autorità della Chiesa.
Nel clima d'intolleranza ideologica di quei tempi la vicenda era di dura attualità: Teresa d'Avila era persuasa che ogni tortura sarebbe apparsa giustificata in nome di una pretesa «verità». Infatti non esitò a scrivere al Re Filippo II il giorno dopo la cattura, esprimendosi duramente sui frati del suo stesso Ordine: «I calzati non sembrano temere che ci sia la giustizia di Dio. Io sono molto angosciata di sapere quei padri nelle mani di costoro che da tempo si auguravano di imprigionarli, e preferirei saperli tra i mori, che forse ne avrebbero maggior pietà». Tristemente i Carmelitani Scalzi non fecero grandi sforzi a favore del loro fratello e padre.
Giovanni trascorse nove mesi nel carcere del convento di Toledo, ma non voltò le spalle alla Riforma dell’Ordine.
Qualche giorno dopo la festa dell'Assunta del 1578, tra le due e le tre di notte, fuggì dal carcere portando con sé il quadernetto con gli scritti che un carceriere più pietoso lasciò che potesse avere.