Il dramma moderno - Romanze di San Giovanni della Croce

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Il dramma moderno

La spiritualità
Al tempo della crisi luterana non tutti compresero il vero cuore del dramma che lacerò la Chiesa, e forse nemmeno ai nostri giorni se ne ha piena consapevolezza.
 
Teologi e Vescovi («Padri») al Concilio di Trento difesero e illustrarono la verità cristiana, mentre molti santi si dedicarono alla riforma della Chiesa moltiplicando opere caritative, educative e missionarie. Nei fatti la sostanza della missione di un “chiamato” non è tanto l’opposizione ad altri protagonisti della vicenda ecclesiale o la contrapposizione ad altre missioni mancate, piuttosto è riscontrabile nel tempo nei frutti di bene e di santità.
 
Nella «missione ecclesiale» di S. Giovanni del­la Croce, A. M. Sicari identifica «radici trinitarie» di quel lontano dramma ancora irrisolto.
 
L'angoscia luterana nasceva da uno strano «buio» percepito nel fondo del mistero di Dio, sempre prima e sempre oltre le sue manifestazioni salvifiche, un grande oscuramento dello «splendore trinitario» del volto di Dio. Per sfuggire l’angoscia di questo buio, Lutero si aggrappò disperatamente a Cristo, mentre il resto dei cristiani si accontentava di un chia­rore trinitario le cui basi si riverberavano pallidamente da dogmi e culto e, ancor meno, sulla vita morale e spirituale dei credenti. Questo dramma continua ancora.
 
La «missione» di S. Giovanni della Cro­ce è rimasta per secoli apprezzata solo per spiritualità e ascesi cristiane, senza osservare l'intelaiatura trinitaria di tutta l'esperienza e di tutto il magistero sanjuanista.
 
A tutt'oggi si considerano le Ro­manze trinitarie come espressione seconda­ria e scollegata dal vertice raggiunto nel Cantico spirituale e nella Fiamma d'amor viva, tanto da suggerire “precauzioni pedagogiche” («Cominciare la lettura dei suoi Scritti partendo dal Cantico, …») prima di affrontare la durezza ascetica della Salita del Monte Carmelo e della Notte oscura, consegnando questi scritti nelle mani degli specialisti e degli asceti.
 
Il magistero ascetico di S. Giovanni della Croce resta difficilmente fruibile per la maggior parte dei cristiani fin quando non si comprende la verità radicale, totalizzante, eppure normale e quotidiana, che l'amore umano non è finalizzato ad un atteggiamento, ma può divenire una sostanza quale grazia trinitaria.
 
La persona umana si “trinitarizza”, “ricondu­cendo a sostanza dell'io, tutte quelle esigenze relazionali e compor­tamentali che si trovano di solito disseminate nei trattati di antropo­logia, di morale, di ascesi e di spiritualità, oltre che nella catechesi e nel culto, e nel comune modo di intendere e di parlare”, per “l'attrazione che il mondo trinitario può e vuole esercitare sull'uomo”.
 
In tale senso molti teologi parlano di esilio della Trinità, esiliata dal pensiero e dall'esperienza cristiana, lasciata ai margini (solo al vertice) dell'esperienza mistica, dimenticando l'invito dei veri mistici cristiani, che sono sprofondati con tutta la loro povertà nel grande mistero della Povertà di Dio: dalla loro esperienza le norme del vivere si possono fare semplici e le analisi psicologiche e sociali divengono ovvie.
 
L’ormai socialmente conclamata e politicamente pretesa perdita delle radici cristiane dell'Europa chiama ad un necessario rinnovo della missione di S. Giovanni della Croce, per    «… questo esilio che fa speri­mentare la nostalgia e motiva la bellezza di un ritrovamento della "patria trinitaria" nella teologia e nella vita» (B. Forte).
 
 
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