Vivere sotto la Croce. Lettera aperta ad una amica che ha sofferto sotto la croce del marito
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Carissima,
il nostro animo è indicibilmente afflitto quando si vivono gli ultimi dolori di una persona così legata alla propria carne. É una carne che grida “scendi dalla croce e salva te stesso” e tutti noi. È un urlo addolorato che sale dall’intimo della nostra esigenza di vita.
Invece rimane una croce vuota, silenziosa. Ecco, solo quando la fatica affievolisce l’urlo di dolore della carne, il silenzio cala attorno a chi rimane. Prima è un silenzio solo materiale, perché l’anima ancora chiede ragione, fino a che come in ogni dialogo si apre la possibilità dell’ascolto. È una possibilità difficilmente accettata subito, ma il silenzio della croce è paziente, accoglie, ascolta.
Un esempio di ascolto che diviene benedizione per chi infine lo accoglie, perché capace di trasmettere la speranza, la fiducia nella promessa che il nostro essere e la nostra vita sono chiamati ad essere risorti, trasfigurati ad essere pienamente vivi rendendo gloria a Colui il quale si è voluto incarnare per essere come noi in tutto, soprattutto e più di noi nella croce, per donarci la Sua salvezza.
È tutto così difficile però. Nei primi scritti cristiani infatti, ancor prima dei Vangeli, ha prevalso il racconto della Passione, delle nostre urla del popolo, delle parole di Gesù dalla Croce, dell’ascolto di Maria e Giovanni.
La verità delle Scritture ci racconta anche della negazione di Pietro, della lotta di Paolo contro una speranza non ancora condivisa, a conferma che nulla è facile, che non tutti ascoltano bene il messaggio di speranza, un messaggio paziente che rimane fermo e fedele perché vero.
Nella umanità mi accomuno ad ogni grido alzato a chiedere giustizia, a offrire cordoglio; nel Battesimo spero e chiedo per me e per ciascuno di noi di imparare ad ascoltare il vero messaggio, umanamente doloroso, spiritualmente consolatore.